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Il nuovo test per l’Alzheimer: diagnosi semplificata o rischio illusorio?

L’esame del sangue autorizzato negli Usa rafforza l’asse industria-biotech: Biogen ed Eisai si alleano con chi sviluppa i test

Un esame del sangue potrà aiutare i medici a diagnosticare in modo precoce e meno invasivo il morbo di Alzheimer. Lo ha deciso la Food and Drug Administration (Fda) statunitense, autorizzando il test Lumipulse G pTau217/ß-Amyloid 1-42 Plasma Ratio, sviluppato dalla biotech giapponese Fujirebio Diagnostics.

È il primo test ematico approvato per contribuire alla diagnosi della malattia neurodegenerativa, che In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, colpisce circa 600.000 persone. E con l’invecchiamento della popolazione, si prevede un raddoppio dei casi entro il 2050. Ma le diagnosi tempestive restano poche, anche a causa della difficoltà di accesso agli esami specialistici (scansioni Pet o punture lombari), costose e invasive.

I numeri dello studio clinico

Secondo uno studio multicentrico presentato alla Fda, condotto su 499 pazienti con deficit cognitivi, Lumipulse ha mostrato una precisione elevata: 91,7% dei soggetti con test positivo avevano placche amiloidi confermate da Pet o esami del liquido cerebrospinale; 97,3% di quelli con test negativo non presentavano tracce di placche; meno del 20% ha avuto risultati indeterminati.

I limiti: falsi positivi e negativi

Il test non è infallibile: falsi positivi possono indurre diagnosi errate e trattamenti non necessari, con conseguente stress psicologico, rischi da farmaci e costi sanitari evitabili. I falsi negativi, al contrario, possono ritardare una diagnosi corretta e l’inizio tempestivo delle terapie. Per questo motivo non è considerato un test di screening autonomo, ma uno strumento da integrare in un percorso diagnostico più ampio.

«Può fornire una maggiore chiarezza sulla possibilità che una persona con perdita di memoria possa essere affetta dal morbo di Alzheimer - ha affermato il neurologo Richard Isaacson, direttore della ricerca presso l’Istituto per le Malattie neurodegenerative in Florida. Rispetto alle costose Pet o punture lombari, «questo è un test di screening molto più semplice, con una ragionevole accuratezza, per indicare al medico che una persona con declino cognitivo presenta sintomi effettivamente dovuti al morbo di Alzheimer».

Isaacson ha però avvertito che, sebbene l’autorizzazione della Fda rappresenti «un importante passo avanti» per il settore, sono necessarie ulteriori ricerche per capire come interpretare i risultati degli esami del sangue e come utilizzarli per prendere decisioni cliniche.

«Penso che il prossimo passo in questo campo sia quello di promuovere la conoscenza di cosa questi test significano e cosa non significano, e per chi dovrebbero essere usati - ha precisato Isaacson -. Perché hanno significati diversi in persone diverse, a seconda dei loro fattori di rischio e della presenza o meno di sintomi. Quindi siamo ancora all’inizio».

Secondo l’Alzheimer’s Association, esistono sul mercato diversi test sviluppati in laboratorio che possono essere utilizzati per rilevare biomarcatori ematici associati all’Alzheimer, oltre a test sperimentali. Ma il test Fujirebio Diagnostics è il primo a essere approvato dalla Fda.

«I biomarcatori ematici stanno rimodellando il modo in cui identifichiamo e comprendiamo la malattia di Alzheimer - ha affermato Maria Carrillo, responsabile scientifico dell’Alzheimer’s Association -. Allo stesso tempo, ci sono domande importanti che gli operatori sanitari devono considerare; in particolare, chi dovrebbe essere sottoposto al test e quando».

Le implicazioni industriali: tra test e farmaci

C’è un altro elemento da considerare: i legami tra i produttori dei test e le aziende farmaceutiche. Biogen ed Eisai, che commercializzano lecanemab, uno dei due farmaci approvati per l’Alzheimer, hanno accordi di collaborazione rispettivamente con Fujirebio e con C2N Diagnostics, altra azienda produttrice di test del sangue. Anche Eli Lilly, che produce l’altro farmaco approvato (donanemab), sta investendo in questa direzione.

Queste partnership sollevano interrogativi: l’uso crescente di test più accessibili potrebbe espandere rapidamente la platea dei pazienti diagnosticati, spingendo al rialzo anche la domanda di farmaci. È un’opportunità clinica o una strategia commerciale?

Conclusioni: rivoluzione o cautela?

Il test Lumipulse rappresenta indubbiamente una svolta tecnologica, con il potenziale di democratizzare l’accesso alla diagnosi dell’Alzheimer. Ma la sua reale utilità dipende dal contesto clinico e dalla capacità del sistema sanitario di integrarlo con altri strumenti diagnostici, senza affidarsi ciecamente a risultati che, in alcuni casi, possono essere fuorvianti.

E mentre le big pharma si alleano con chi sviluppa i test, il rischio è che il mercato corra più veloce della scienza. In attesa che i sistemi sanitari trovino un equilibrio tra innovazione e prudenza, resta valida la lezione di fondo: la diagnosi precoce dell’Alzheimer è un obiettivo nobile, ma non si raggiunge, al momento, con un solo esame.

Fonte della notizia: www.ilsole24ore.com

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