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Alzheimer, il Dna svela chi è più a rischio e come si ammalerà

Identificate varianti genetiche che influenzano non solo il rischio di malattia, ma anche la comparsa di sintomi cognitivi e psichiatrici. Un passo avanti verso una diagnosi precoce e trattamenti su misura.

Una nuova scoperta scientifica potrebbe cambiare il modo in cui comprendiamo, diagnostichiamo e - in futuro - curiamo la Malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza al mondo, che colpisce oltre 24 milioni di persone.

Uno studio tutto italiano, pubblicato sulla rivista internazionale Plos One e guidato da Francesco Bruno (Universitas Mercatorum), ha analizzato per la prima volta in Europa l’intera variabilità genetica del gene Adam17, identificando alcune varianti comuni (Snps) che aumentano il rischio di sviluppare l’Alzheimer sporadico e influenzano sintomi cognitivi e comportamentali. Questo gene, infatti, è coinvolto nei meccanismi di comunicazione tra cellule e nella risposta infiammatoria e potrebbe influenzare non solo il rischio di sviluppare la malattia, ma anche le sue manifestazioni cognitive e comportamentali.

L’indagine ha analizzato per la prima volta in Europa l’intera variabilità genetica del gene Adam17, identificando alcune varianti comuni (Snps) che aumentano il rischio di sviluppare l’Alzheimer sporadico e influenzano sintomi cognitivi e comportamentali. Questo gene, infatti, è coinvolto nei meccanismi di comunicazione tra cellule e nella risposta infiammatoria e potrebbe influenzare non solo il rischio di sviluppare la malattia, ma anche le sue manifestazioni cognitive e comportamentali.

Un gene, molte funzioni

Il gene Adam17 codifica per l’omonima proteina Adam17 che svolge un ruolo cruciale nel cervello. Tra le sue funzioni c’è quella di “tagliare” alcune proteine presenti sulla superficie delle cellule nervose. Una di queste è la proteina precursore dell’amiloide (App): se viene tagliata nel modo corretto, si evita la formazione delle famigerate placche di beta-amiloide, uno dei principali segni distintivi dell’Alzheimer.

Ma Adam17 è anche coinvolta nei meccanismi di infiammazione cerebrale: può attivare cellule come le microglia, che nel cervello agiscono come “sentinelle” del sistema immunitario, ma che nell’Alzheimer si attivano in eccesso, contribuendo alla degenerazione neuronale.

Lo studio: chi è più a rischio?

I ricercatori hanno analizzato il Dna di 297 pazienti con Alzheimer sporadico e 316 soggetti sani. Hanno identificato sette varianti genetiche (Snps) del gene Adam17 e ne hanno studiato l’associazione con diversi aspetti della malattia.

«Abbiamo scoperto che una specifica variante – la rs12692385 - è associata a un rischio maggiore di sviluppare la malattia», spiega Bruno. «Ma non solo: altre varianti influenzano aspetti specifici come la memoria, le abilità visuo-spaziali e la comparsa di sintomi come agitazione, depressione e allucinazioni».

In particolare, la variante rs12692385, è risultata associata a un aumento del rischio di Alzheimer, soprattutto nella popolazione europea. Chi porta questa variante tende inoltre ad avere peggiori prestazioni nei test di memoria verbale (come il Rey Auditory Verbal Learning Test), che misura la capacità di ricordare parole dopo un certo intervallo di tempo.

Un'altra variante, rs13008101, sembra influenzare la capacità di eseguire il Clock Drawing Test, un noto esame in cui si chiede al paziente di disegnare un orologio con le lancette a un’ora specifica. Questo test valuta abilità visuo-spaziali e funzioni esecutive, spesso compromesse già nelle fasi iniziali dell’Alzheimer.

Quando il Dna influenza anche il comportamento

Lo studio ha rilevato anche un legame tra alcune varianti genetiche e la comparsa di sintomi neuropsichiatrici come allucinazioni, agitazione e aggressività, molto comuni nei pazienti con Alzheimer, ma spesso difficili da gestire. Le varianti rs10179642 e rs35280016 sembrano associate a una maggiore frequenza e gravità di questi sintomi.

Questi sintomi sono condivisi anche con altre forme di demenza, come la demenza frontotemporale, e la scoperta potrebbe aiutare i medici a distinguerle più precocemente, quando le manifestazioni cliniche sono ancora poco chiare.

Verso una medicina personalizzata

Secondo gli autori, identificare chi porta queste varianti potrebbe aiutare a: intercettare prima la malattia, monitorando in modo mirato memoria e comportamento; personalizzare interventi terapeutici e approcci preventivi; sviluppare nuovi farmaci mirati a modulare l’attività di Adam17 nei circuiti cerebrali coinvolti. E quindi diventare strumenti preziosi per la diagnosi precoce, il monitoraggio e anche per lo sviluppo di terapie su misura. «Identificare chi è geneticamente più predisposto all’Alzheimer permette di intervenire prima, con strategie preventive e trattamenti personalizzati», spiega Bruno.

Lo studio sottolinea anche che alcune delle varianti genetiche individuate influenzano direttamente l’attività di Adam17 nel cervello, in aree fondamentali come la corteccia e il cervelletto. «È un’ulteriore prova del fatto che la genetica può aiutarci a capire meglio perché alcuni cervelli si ammalano e altri no» conclude Bruno.

Lo studio è stato condotto dall’Universitas Mercatorum di Roma in collaborazione con l’Irib-Cnr di Mangone (Cosenza) e il contributo scientifico della responsabile di sede Francesca Cavalcanti, e altri centri di ricerca nazionali.

Fonte della notizia: www.ilsole24ore.com

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